I giocatori del Bologna (ph. bolognafc.it)

-di Luca Corsolini-

Adesso che la stagione del Bologna è finita, in modo scialbo, persino in controtendenza rispetto a promesse, ovvio, e premesse, perché questo è stato pure il campionato del lancio del nuovo stadio, e contestualmente della decisione di andare a Ravenna quando il Dall’Ara non sarà agibile per lavori, ci sono tanti modi di tracciare un bilancio.

La classifica, un po’ anonima, sporcata dal record di gol subiti, dice poco su questo presente e sul futuro che verrà, anche se è facile intuire che la gran parte delle risorse nei prossimi anni è destinata allo stadio. Il pil rossoblu, detto che le squadre di calcio garantiscono un prodotto interno che non è per niente lordo, anzi è il succo delle emozioni generate, è in calo, non sarà nemmeno facile presentare la campagna abbonamenti se e quando si potranno di nuovo aprire le porte del Dall’Ara al pubblico. Dunque, tutto sbagliato, una stagione da buttare?

I mesi passati forzatamente in casa ci hanno insegnato che oggi c’è un altro parametro da considerare per valutare una squadra di calcio: è una bella storia, ha prodotto belle storie? Si chiama storytelling il nuovo modo di misurare il calcio e lo sport. Non dovrebbe essere una sorpresa per un campionato sponsorizzato da anni da Tim e che almeno due stagioni sogna di farsi la tv da solo, ma la realtà è ben diversa, anche perché non è mai disegnata con colori forti, e semmai con le tinte precarie di progetti abbozzati magari per inseguire l’ultima moda ma non completati, come succede con gli eSports.

Torniamo a noi. Il Bologna ha chiuso il campionato dello storytelling in zona Europa League, se non addirittura in Champions. Meglio di un’Inter troppo brontolona, di una Lazio evaporata appena si è ripreso a giocare, di una Atalanta oggi ingiudicabile perché mancano le ultime scene per raccontare di Cenerentola al ballo delle grandi. Il Bologna ha due grandi storie da raccontare, e sarebbe da convocare qualcuno di Netflix subito a Casteldebole, anche per verificare se nella serie su Baggio inspiegabilmente girata in Trentino invece che in Veneto ci sono fotogrammi sul Divin Codino. Le due storie sono quelle, universali, di Mihajlovic e dei due ragazzi in Gambia, Barrow e Juwara, e magari le bizze del Mister su quest’ultimo invece che tecniche sono le gelosie tra big dello schermo. Mihajlovic è diventato cittadino onorario di Bologna ma è evidente che la sua è una storia di valore mondiale e non semplicemente cittadina; è una storia poi doppiamente attuale perché oggi parlare di salute è cosa, per fortuna è per sfortuna, di tutti i giorni, riguarda i sani e non solo i malati. La storia di Barrow e Juwara è un bel trailer su una carriera ancora da scrivere, ma proprio perché è una storia ancora incompleta, e nemmeno originale a essere sinceri, andrebbe girata adesso per meritarsi la qualificazione nella Champions League dello storytelling che non aggiunge punti in classifica e però porta soldi e attenzione da tutto il mondo. 

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