Il Director’s Cut di questa settimana focalizza l’attenzione su Fortitudo, Virtus, Bologna e stadio con l’imminente sopralluogo al Benelli di RavennaIn un piccolo spareggio per l'accesso ai play off, sabato sera, la Fortitudo batte Roma tenendo l'ottavo posto e avviandosi in serenità alla final eight di Coppa Italia; la Virtus giocherà a Pesaro la medesima competizione anche a mo' di...rimpiazzo della parziale delusione di Tenerife, dove ha giocato stanca e perduto in finale la Intercontinentale:  il Bologna, soprattutto, sbanca l'Olimpico giocando una gara per un'ora memorabile e mettendo insieme una batteria di ragazzi promettenti - ma già all'altezza - che, se matureranno qui, potranno veramente dare soddisfazioni di spessore elevato. Chiacchierando venerdì con il presidente fortitudino Pavani, lui mi sottolineava come stiamo comunque vivendo una sorta di "golden age" dello sport bolognese di vertice. E pregava tutti - in primis il sottoscritto, chiaro - di considerare gli sforzi che Saputo, Zanetti e la "coop Fortitudo" fanno, aggiungendo: "ma pensa se un tifoso va in parterre o in tribuna e dice una cosa storta a uno di due boss, magari dopo una sconfitta. Inaccettabile, si spezzerebbe un sogno. Per favore, fate il vostro lavoro ma tenetene conto". Discorso che mi ha colpito: promesso, lo farò. Lo splendido successo di Roma porta i rossoblu all'interno di un gigantesco "mischione" di metà classifica che parte dai 34 punti del Verona e termina con i 29 del Sassuolo. Ci sarà per sette squadre un solo posto europeo, e forse nemmeno quello: se la Coppa Italia andrà a Napoli o Milan, e chi la vince dovesse classificarsi in campionato ottava o peggio, andrebbe lei in Europa League a danno della settima (in questo momento proprio il Bologna). Insomma, vivere questo trofeo come una consolazione, magari di fronte a una ipotetica arrendevolezza di Juve o Inter, escluderebbe una new entry: Il Verona, il Parma, il Cagliari e il Bologna. Ma questo è un pensiero per la fine, idea che io personalmente continuo a giudicare evento troppo complicato per metterci delle fiches certe. E ribadisco un concetto: la leggerezza mentale generata dal non avere assilli o obiettivi troppo stringenti, salvo cavarsi delle - grosse - soddisfazioni come capitato sabato, può essere un vantaggio. Il campionato non ti pone traguardi cogenti, tu giochi un buon calcio, a tratti ottimo, e tutto quello che viene è guadagnato. Tanto se non vai in Europa nessuno ti dice nulla: è un nostro enorme limite che è oggi anche un grande moltiplicatore di energie. Ecco, se debbo porre davanti ai miei occhi un emblema di aspetti che mi hanno convinto poco, a inizio stagione, metto Medel. Che verrà buono, non ho dubbi, ma con il quale il centrocampo ha fatto due passi indietro rispetto al girone di ritorno dell'anno scorso. Oggi, che non c'è, in mezzo siamo un'altra categoria.Mi sono posto au contraire il problema di quale era il simbolo della vittoria, una immagine che più di altre mi aveva colpito. Ce ne sono molte. I salvataggi di Skorupski, la gagliardissima prova di Bani, l'eleganza del vituperato Denswil, lo scintillio tecnico e tattico del "frillino" Schouten (finalmente un play! Cappero), la concretezza di Soriano, i capolavori di Barrow e la "noia", tra mille virgolette, di un Orso sempre decisivo. C'è stato chi ha giustamente notato che la nuova "cooperativa del gol" ha reso meno indispensabile Palacio. E ne gioverà anche lui, l'immortale argentino. Però metto Juwara, l'incoscienza del mister di buttarlo in mischia con il risultato da difendere e, soprattutto, sulle ali dell'entusiasmo, i due gol in Primavera il giorno dopo. Potenza della vittoria! E, finalmente, una roba "progettuale": la rete di Pagliuca jr., un prodotto del nostro settore giovanile (cosa che il gambiano non è). Chissà che non sia l'inizio di un nuovo "Rinascimento", io tanta pazienza di aspettare non ce l'ho, sarà perché sono vecchio. Il dato da sottolineare nel finale è che il sopralluogo, imminente, del Bologna allo stadio Benelli di Ravenna dimostra che il traguardo della ristrutturazione può essere vicino. E, chissà, che quell'accordo in Romagna non sia il prodromo della costituzione di un asse più specifico, una sorta di squadra di sviluppo.
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