Con la vittoria della Spagna ai Mondiali, Sergio Scariolo ha dimostrato tutte le sue abilità a discapito di un Ettore Messina un pò in balia degli eventi

-di Luigi Ercolani-

Il trionfo della nazionale spagnola al Mondiale cinese ha radici lontane. Ancora più lontane del   successo del 2006, quello del primo alloro iridato in Giappone, come se a sospingere gli iberici verso il gradino più alto del podio fosse l'atmosfera orientale. Ancora più lontane dello sviluppo di una generazione di giocatori tecnicamente sublimi, capaci di costruirsi da soli un tiro e in grado di mettere le abilità individuali al servizio di un gioco collettivo caratterizzato da un'eccellente e intelligente uso degli spazi in campo. Roba di fronte a cui i vertici del movimento giovanile cestistico italiano, che attua un approccio sistemistico il cui unico scopo è dissimulare i difetti dei giocatori allo scopo vincere subito, dovrebbero correre a nascondersi per la vergogna. Le radici affondano nel 1989. A Pesaro, città che ama pallacanestro e pallavolo targate Scavolini, il Vate Valerio Bianchini in estate saluta tutti dopo lo scudetto conquistato, sedotto dal progetto di Ferruzzi e Sama sponsorizzato Il Messaggero, etorna alla Virtus Roma dove non molti anni addietro aveva portato in dote uno titolo nazionale e una Coppa Campioni,. In riva all'Adriatico per sostituirlo puntano Mirko Novosel, santone allora jugoslavo e poi croato, demiurgo del Cibona Zagabria. Quest'ultimo però è sotto contratto con Napoli, che non ne vuole sapere di lasciar partire il proprio coach. Si ricorre così alla soluzione interna: il vice-allenatore. Il patron Valter è scettico. La carriera di Sergio Scariolo, studente di architettura fulminato sulla via della palla a spicchi, inizia così, con un incrocio di sliding doors mica da ridere. È il primo a intuire che la Grecia, vincitrice all'Eurobasket 1987, diventerà una potenza del basket, e studia l'idioma locale, anche se nell'Ellade non ci allenerà mai perché legherà il proprio destino a doppio filo alla Spagna. Da dove già nel 1991 lo cercano: il Real Madrid, nientemeno, con cui convolerà a nozze nel 1999 vincendo subito il campionato dopo avere portato il Baskonia alla Copa del Rey. Poi arriverà Malaga, piazza che mai aveva assaporato successi: coppa nazionale nel 2005, campionato nel 2006, Final Four di Eurolega nel 2007. Di quella squadra targata Unicaja si ricorda Garbajosa a giocare da ala forte perimetrale quando ancora andavano di moda i due lunghi veri. Anche lì, intuizione e capacità di vedere lontano.Scariolo è sempre stato messo in antitesi con Ettore Messina: esordirono da head coach nello stesso anno e avrebbero potuto incontrarsi nelle semifinali playoff, ma la Caserta di Franco Marcelletti fece fuori la Virtus Bologna del nativo catanese. Sarebbe stato interessante, viste le premesse: finali juniores di qualche anno prima a Roseto degli Abruzzi, scintille tra panchine, espulsi entrambi. C'era stima, nella rivalità, e anche amicizia. Però non è inesatto ipotizzare che per un certo periodo Messina abbia  goduto di migliore reputazione, in Italia. Per questo, forse, Don Sergio è stato in qualche modo portato a ripararsi in Spagna, dove però ad ogni sconfitta si apriva un processo all'“italiano”. La stessa situazione che rileverà Ettore sul finire della prima decade del nuovo millennio. Ad oggi le parti paiono ribaltate. Scariolo si è costruito una solida immagine di vincente dopo aver ottenuto una medaglia ad ogni torneo a cui ha partecipato alla guida delle Furie Rosse, tranne nel 2010. Tra queste tre ori europei e uno mondiale con una squadra che era meno facile da condurre rispetto a quanto si possa pensare, soprattutto quando bisogna dosare con il bilancino del farmacista dodici teste su dodici in grado di dare ognuna un contributo concreto in campo. Un lavoro più psicologico che tecnico, dunque. E se è vero che le ultime uscite nei club di Scariolo non sono state brillanti, è anche vero che le gestioni di Khimki, Milano e Baskonia nel tempo hanno ampiamente dimostrato di essere tutto fuorché progettuali e solide. Messina, viceversa, è tornato a guidare gli Azzurri per due estati di fila, 2016 e 2017: è parso in entrambe le occasioni in balia degli eventi e dei giocatori, laddove invece il suo collega ha più volte dimostrato di saper indirizzare i propri puledri. L'impressione è che il ruolo di assistente di Popovich avesse quasi arrugginito, impolverato, la capacità di lettura e di azione nel coach scuola Reyer. E nel suo impiego precedente all'avventura texana, il revival sulla panchina della corazzata CSKA, non è andato molto meglio.
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