Seid Visin aveva solo 20 anni e ha scelto di togliersi la vita per porre fine al dolore e alla sofferenza che provava negli ultimi mesi. Il giovane, nato in Etiopia, era stato adottato da una coppia campana quando era ancora un bambino e gran parte della sua esistenza l'ha passata proprio in Italia. Il colore della sua pelle, che inizialmente non sembrava un ostacolo, è poi diventato un peso, “un macigno” come lo definisce lo stesso ragazzo. Così grande e opprimente che, alla fine, l'ha portato al suicidio.

Tragedia di Seid Visin, il razzismo raccontato in una lettera

Con un passato nelle giovanili del Milan e del Benevento, Seid Visin avrebbe compiuto 21 anni tra qualche mese. Il suo corpo è stato ritrovato nella giornata di ieri all'interno della sua abitazione. Inizialmente si pensava ad un malore, ma in realtà era un gesto volontario. Il disagio che il ragazzo viveva ormai da tempo è spiegato in una lettera che lo stesso aveva iniziato agli amici e alla sua psicoterapeuta. Queste le sue parole così come riportato da Il Corriere della Sera: “Dinanzi a questo scenario socio-politico particolare che aleggia in Italia, io, in quanto persona nera, inevitabilmente mi sento chiamato in questione. Io non sono un immigrato. Sono stato adottato quando ero piccolo. Prima di questo grande flusso migratorio ricordo con un po’ di arroganza che tutti mi amavano. Ovunque fossi, ovunque andassi, ovunque mi trovassi, tutti si rivolgevano a me con grande gioia, rispetto e curiosità. Adesso, invece, questa atmosfera di pace idilliaca sembra così lontana; sembra che misticamente si sia capovolto tutto”. 

Il giovane poi continua: “Adesso, ovunque io vada, ovunque io sia, ovunque mi trovi sento sulle mie spalle, come un macigno, il peso degli sguardi scettici, prevenuti, schifati e impauriti delle persone. Qualche mese fa ero riuscito a trovare un lavoro che ho dovuto lasciare perché troppe persone, prevalentemente anziane, si rifiutavano di farsi servire da me e, come se non bastasse, come se non mi sentissi già a disagio, mi additavano anche la responsabilità del fatto che molti giovani italiani (bianchi) non trovassero lavoro. Dopo questa esperienza dentro di me é cambiato qualcosa…come se mi vergognassi di essere nero, come se avessi paura di essere scambiato per un immigrato, come se dovessi dimostrare alle persone, che non mi conoscevano, che ero come loro, che ero italiano, che ero bianco. Il che, quando stavo con i miei amici, mi portava a fare battute di pessimo gusto sui neri e sugli immigrati, addirittura con un’aria troneggiante affermavo che ero razzista verso i neri, come a voler affermare, come a voler sottolineare che io non ero uno di quelli, che io non ero un immigrato".

Infine conclude: "Con queste mie parole crude, amare, tristi, talvolta drammatiche, non voglio elemosinare commiserazione o pena, ma solo ricordare a me stesso che il disagio e la sofferenza che sto vivendo io sono una goccia d’acqua in confronto all’oceano di sofferenza che stanno vivendo quelle persone dalla spiccata e dalla vigorosa dignità, che preferiscono morire anziché condurre un’esistenza nella miseria e nell’inferno. Quelle persone che rischiano la vita, e tanti l’hanno già persa, solo per annusare, per assaporare, per assaggiare il sapore di quella che noi chiamiamo semplicemente “Vita”.

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