Con una sonora tripletta, CR7 ha trascinato la Juventus ai quarti di finale di Champions. Ma cosa vedono gli occhi e cosa pensa la mente di un campione?E’ il 12 marzo 2019, probabilmente per tutta la notte precedente non hai chiuso occhio: rimontare chi ha dimostrato di avere più attributi di te venti giorni prima, dimostrare al mondo di essere il più forte, trascinare il tuo team alla vittoria e al passaggio del turno sono i pensieri che non ti hanno abbandonato neanche un secondo da quando ti sei messo a letto poche ore fa. E allora ti alzi, cerchi la spinta della tua famiglia, inneschi il livello massimo di concentrazione, ti rechi nella dimora juventina sapendo che la sua trepidazione è la tua forza. Ti riscaldi, entri negli spogliatoi e al ritorno in campo percepisci che è arrivato il tuo momento. Guardi in alto, i decibel del pubblico che chiama il tuo nome ti entrano nel sangue, la sinfonia della Champions è linfa. I compagni ti cercano con gli occhi di chi ha bisogno del tuo aiuto, osservi l’arbitro portare in bocca il fischietto, per l’avvio del match di ritorno è questione di attimi. Il boato degli spalti ti fa capire che la rivincita è iniziata, il pallone scotta, il cronometro dice 1’ di 90’, la stazza dei rivali è quella giusta per farti assaporare un qualcosa di simile ad un’impresa. Corri, cerchi di aggirare la difesa Colchonera, ne prendi e ne dai, non smetti di chiedere la sfera ai compagni che mai come stasera sembrano demoni assetati di vendetta. Al 27’, finalmente, capisci che il tuo amico Federico ti offrirà un pallone al bacio che dovrai solo mettere dentro. Studi la traiettoria, prendi il tempo, sovrasti il tuo marcatore; l’impatto è quello giusto, Oblak è battuto, lo stadio intero è su di giri. All’intervallo sai di non aver fatto ancora nulla, perché per conquistare i quarti di finale occorre segnare ancora due gol. E allora raggiungi, testardo, chi come te è pronto a tornare in campo con gli stessi colori di maglia. A ciascuno riservi un cinque, un abbraccio e un’esortazione che sa di dovere, perché ammetti a te stesso di essere il leader indiscusso, colui che è stato scelto dal club come guida etica oltre che per i valori tecnici. Inizia il secondo tempo e sei consapevole del fatto che 45 minuti, in realtà, possono volare più in fretta di quel ritornello della Champions che non sarai mai disposto ad abbandonare. Ti dai da fare, passano 180 secondi e capisci che è il momento giusto per colpire ancora. João premia perfettamente con una gran palla da spingere dentro; ti elevi, colpisci di testa, Oblak c’è e smanaccia, ma già ti sei accorto che la sfera ha oltrepassato la linea di porta. Guardi l’arbitro, richiami la sua attenzione e lui, con la mano, indica l’orologio: la scritta dell’apparecchio è la stessa che compare sul tabellone. Goal! Esulti, rivolgi lo sguardo al pubblico che tanto vorrebbe scendere in campo e abbracciarti, vedi gli avversari a testa bassa, capisci di essere il protagonista della serata. Sei stato più veloce del tempo, mancano ancora 42 minuti in cui tutto può accadere.I falli aumentano, le occasioni non mancano, l’euforia sale assieme alla paura, ma il risultato rimane invariato e non basta per accedere direttamente alla fase successiva del torneo. Mancano cinque giri d’orologio per i supplementari, eppure quando lanci Bernardeschi all’86’ capisci che può succedere qualcosa di importante: il numero 33 salta due avversari, Correa rinviene su di lui in area e lo spinge giù. Guardi il direttore di gara, è rigore. Il tuo cuore ti sussurra a voce alta che sei l’unico a non soffrire la pressione dagli undici metri in un momento come questo: abbracci il pallone, lo culli sul dischetto, quattro passi indietro, un respiro profondo, prendi la rincorsa. Hai già deciso l’angolo da battezzare, osservi i movimenti di Oblak fino all’ultimo, incroci la traiettoria. Portiere spiazzato! Ora sì che puoi festeggiare come vuoi tu, corri verso la bandierina, ti infiammi col calore dei compagni e dell’intero Stadium. Gli avversari sono sconfitti; guardi in tribuna tuo figlio esultare e la tua compagna versare lacrime di gioia. Sei tu il supereroe della serata, ti copri gli occhi con le mani perché quasi non ci credi: hai fatto fuori, tramortendolo con tre reti, lo stesso Atletico Madrid che non ti ha fatto dormire la notte prima e, forse, la maggior parte delle venti sere precedenti. Sei il padrone del campo, puoi portare a casa il pallone con cui hai realizzato la prima, pesantissima tripletta bianconera. Non hai mai dimenticato di chiamarti Ronaldo, Cristiano Ronaldo, e di “essere stato preso per partite come questa”. La Spagna già ti conosce bene, ma in una notte sei stato capace di sbigottire l’Italia intera. In 90 minuti, hai ribaltato risultato e pronostici. Chiudi gli occhi, c’è da festeggiare. In un colpo solo, o meglio con tre colpi secchi farai impennare il titolo in borsa del tuo club imponendo addirittura a Piazza Affari di sospenderlo. Cinque giorni prima, avvertivi l’amico Evra su whatsapp scrivendo “Passeremo fratello! In casa li distruggiamo”: detto-fatto. “Doveva essere una notte speciale e lo è stato, questa è la mentalità da Champions. Non abbiamo vinto ancora niente ma questa partita è motivo di orgoglio per noi. Penso che la Juve mi abbia preso per partite così, sono qui per aiutarli. Sono molto contento, è stata una serata magica. L'Atletico era una squadra complicata, ma noi siamo forti e abbiamo meritato di passare. Per la finale però è presto, pensiamo una partita alla volta” sono i tuoi pensieri al termine del match che porterà cicatrizzato il tuo nome nella storia della Champions. La vittoria è passata attraverso i tuoi piedi, l’intera Juventus ha assorbito il veleno dalla tua testa, la stampa immortalerà e descriverà le tue gesta per un’intera settimana. Perché tu sei semplicemente e incredibilmente un mostro del calcio. Perchè dimostrare continuamente al mondo di essere il migliore non è un peso se vieni da un altro pianeta e ti chiami Cristiano Ronaldo!
Calciomercato Bologna, due difensori sul taccuino di Sabatini
Serie A: top e flop della 28^ giornata di campionato

💬 Commenti