I ricordi di Azeglio Vicini, la carriera e gli aneddoti per celebrare uno dei padri del calcio italiano

- di Gianni Marchesini -

La scomparsa di Azeglio Vicini mi addolora profondamente, mi toglie un amico vero.  Ho seguito la sua carriera per vent’anni abbondanti dal 1972 al 1993, quando lasciò l’Udinese, sua ultima non esaltante esperienza alla guida di un club dopo quelle di Brescia e Cesena. Ma in mezzo Azeglio aveva vissuto 24 anni di alto livello come responsabile di rappresentative nazionali: dalla Juniores alla Under 21 alla Nazionale A. Erano stati Furio Valcareggi e Gigi Peronace a volerlo nello staff azzurro nel 1968, quando lui aveva appena 35 anni. E lui si era calato nel ruolo con garbo e competenza, con personalità e con disponibilità, mettendo in campo quel suo carattere di romagnolo di terra (era nato in una famiglia di contadini) concreto e ben poco pataca. I ricordi affettuosi nelle tantissime dichiarazioni seguite alla sua morte ne sono la prova lampante.  Vicini era “una brava persona”, ha detto Beppe Bergomi: una definizione semplice ma che dice tutto. Aggiungo: Azeglio era un tecnico competente, molto competente, uno che conosceva il calcio anche internazionale come pochi altri.  Non era stato un “vincente”, purtroppo. In un articolo scritto per il Messaggero, quando aveva chiuso da c.t., lo avevo definito “un perdente di successo”. Lui non si offese, ci scherzammo su. E aveva commentato, con ironia: “Forse ognuno di noi nasce con un destino e il mio destino era quello di mancare gli acuti”.  Questo, in effetti, sta scritto nella sua carriera in azzurro. Che ho avuto la fortuna di commentare dal vivo, essendo presente in tutte le manifestazioni della sua attività.  Maggio 1972, Campionato europeo Juniores a Barcellona, girone degli ottavi di finale. L’Italia di Vicini batte Malta 5-1, e poi pareggia con Spagna e Romania sempre per 1-1, entrambe le volte rimontata. Risultato: Spagna di Hector Rial, grande ex del Real Madrid stellare Anni Cinquanta, ai quarti e Italia a casa da imbattuta!  Una squadra che giocava un gran calcio e che era piena di futuri campioncini: Bodini, Bini, Boldini; Roggi, Peccenini, Maldera III; Pellegrini Stefano (o D’Amico), Guerini, Desolati, Antognoni, Florio, Avrebbero fatto carriera tutti. Ottobre 1986, finale del Campionato Europeo Under 21. Andata a Roma il 15 ottobre: Italia-Spagna 2-1. Ritorno a Valladolid il 29 ottobre: Spagna-Italia 2-1 e poi 3-0 ai rigori per le “furie” allenate da Luis Suarez.  Anche in quel caso una squadra stellare: Zenga; Ferri, Baroni; De Napoli, Francini, Cravero; Donadoni, Giannini, Vialli, Matteoli, Mancini.  Azeglio portò praticamente tutti i suoi ragazzi in Nazionale A, quando prese il posto di Bearzot come c.t. nel 1986, e dimostrò quanto profondo, competente ed efficace fosse stato il suo lavoro nelle rappresentative minori. Una semina meravigliosa.  Il culmine della sua carriera da Commissario (54 gare, 32 vittorie, 15 pareggi e appena 7 sconfitte) fu ai Mondiali di Roma 90. Quando si confermò che Azeglio non era nato con la camicia. Vittorie per 1-0 con Austria e Stati Uniti, e per 2-0 con la Cecoslovacchia nelle eliminatore; poi 2-0 all’Uruguay negli ottavi, 1-0 all’Irlanda nei quarti: ma in semifinale l’errore in uscita di Zenga su Caniggia (e Ferri in ritardo) consentirono all’Argentina di andare ai rigori e di passare grazie agli errori di Donadoni e Serena. Una grande amarezza per una finale che sarebbe stata meritatissima, solo parzialmente mitigata dal 3° posto grazie al 2-1 sull’Inghilterra.  L’esplosione di Schillaci e di Baggio, la conferma dei “suoi” ragazzi cresciuti nell’Under 21 come Zenga, Bergomi, Maldini, Baresi, Ferrara, De Agostini, Giannini, Vialli. Un lavoro eccellente, con sempre al fianco il fedelissimo Sergio Brighenti compagno della Samp Anni Sessanta.  Un autentico “padre della patria calcistica”, Vicini: mai arrogante, mai sopra le righe, rarissimamente polemico, consapevole che dietro a talune innovazioni anche tattiche c’era quasi il nulla. “Oggi dicono di essere offensivisti, ma non farti imbrogliare, Gianni: se guardi bene - mi diceva - scopri che oggi si difende con 4 dietro e 4 a centrocampo. Mentre noi avevamo sì stopper e libero, ma un terzino fluidificante e un mediano d’attacco e davanti 4 giocatori offensivi”.  Arrigo Sacchi, succeduto proprio ad Azeglio nel ruolo di c.t. nel 1991, da buon romagnolo come Vicini spiegava che nella vita occorrono “occhio, pazienza e buco del c…”  Ecco, la sorte in merito si è sbilanciata più a favore di Arrigo che a favore di Azeglio.   Ma alla moglie Ines - vicentina di Porta Castello, conquistata con una caramella (rifiutata) dal ventenne Azeglio arrivato da Cesena con i suoi capelli rossi e le gambe magre - e ai tre figli resta il conforto di una stima vasta e meritata da parte di tutti per una “persona perbene”. 
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