A Bologna esiste un problema di grammatica elementare nell'uso dei social. Abbianmo avuto, per citare solo i casi più illustri, un giocatore di basket che postava generosamente dal salotto di casa sua con bottiglie di vino fin troppo in evidenza, un componente dello staff del Bologna che ha reso pubblico un commento privato di Mihajlovic su una festa dei tifosi scavando senza accorgersene un fossato tra i tifosi e il tecnico che è stato difficile colmare e, infine, l'ultimo episodio: la lettera di Christian Pavani, presidente Fortitudo, in cui è annunciato ai giocatori il congelamento degli stipendi. I social non sono diversi dalla vita, una squadra non è diversa da una famiglia, da una azienda: la regola è sempre che i panni sporchi si lavano in famiglia. Nel caso dello sport, non è solo per retorica che si vuole proteggere l'unione dello spogiatoio: è da lì che si comincia a costruire il gruppo.

L'importante è comunicare, ma bisogna sapere come

E'evidente che, nel caso della Fortitudo, concentrarsi sui social è come guardare il dito di chi indica la luna, il dibattito è già partito sotto i portici, con riscontri ingenerosi per la società più che per i giocatori, però allargando la questione bisogna ammettere che il Covid, ormai due stagioni senza pubblico negli impianti, dunque senza contatto diretto perchè legato agli eventi tra atleti e tifosi, dovrebbe aver insegnato alle società e ai loro tesserati che bisogna allenarsi anche a comunicare per non sbagliare partita. Oltre Bologna, Icardi, ad esempio, ha postato nei giorni scorsi una sua foto mentre si sottoponeva a una terapia di recupero. Peccato sembrasse un paziente in ospedale: quella immagine non comunicava la leggerezza che era nelle intenzioni del giocatore del Psg, risultava uno sgradevole autogol. E proprio la mancanza di consapevolezza degli atleti nell'approccio alla rete, intesa qui come web, è il problema.

I social hanno allungato i tempi della esposizione degli atleti

Senza poter uscire, in un lockdown più o meno permanente delle nostre relazioni ridotte alla frequentazione dei parenti stretti, di pochi amici e, nel caso dei giocatori, dei compagni di squadra, tutti abbiamo aumentato la nostra presenza in rete. Per gli atleti non è solo un vanto essere sui social h24, in pratica ininterrottamente, è parte ormai del loro lavoro. Ma proprio questo è il punto: se è un lavoro, chi lo paga ? Siamo davvero sicuri che in rete l'atleta sia libero di fare quello che vuole, ovvero che possa separare la sua dimensione di giocatore legato a un club, di testimonial legato a un prodotto, detto che la sua notorietà dipende proprio da una attività principale che non è sua ma remunerata da altri ?

Le società devono tornare a interpretare la comunicazione come una opportunità

Non riuscendo, forse anche non volendo controllare le comunicazioni dei loro tesserati nel tempo non mediato, ovvero in quello estraneo a impegni di lavorio come allenamenti e partite, le società hanno trovato il rimedio più semplice ma anche più sbagliato per silenziare i loro tesserati: hanno negato quasi ogni occasione di esposizione dei giocatori e dei tecnici. Gli addetti stampa, che correttamente dovrebbero interpretarsi come responsabili addetti ai rapporti con la stampa, dunque a dsposizione dei media nell'interesse della società, hanno scelto di essere custodi di un silenzio della stampoa non produttivo. E, oltre tutto, riempito dai comportamenbti di cui sopra. Col risultato che il lockdown ha reso marginale la rilevanza degli atleti che invece le società dovrebbero esaltare. Perchè, pagandoli per 24 ore al giorno, e non solo per il tempo speso in campo, li potrebbero impegnare più e meglio per essere i rappresentanti di se stessi e, ovviamente, della società di appartenza in tante vicende meno banali di un risultati, affermando valori dello sport che  non finiscono con la fine di una partita o di un evento. Sarebbe un vantaggio di tutti, primariamente dello sport, comunicare meglio. Uno dei motti fondanti dello sport, coniato quando ancora non c'erano tv e social, ma quando già c'era la stampa, e nell'essere coetanei della Gazzetta e dello Sport, born in 1896, bisogna riconoscere che il giornale è addirittura arrivato prima, oggi risulterebbe così: l'importante è comuncare. A patto di saperlo fare, si intende. Ma come lavare i panni in sporchi in famiglia è una regola della vita che vale per lo sport, così allenarsi prima di una gara è una regola dello sport che vale per la comunicazione. Un campionato vale un piano editoriale ben strutturato: non basta un pareggio per muovere la classifica.

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