Negli Stati Uniti playoff vuol dire generare valanghe di dollari. Coach Valerio Bianchini analizza le motivazioni della loro nascita e lo sviluppo nel tempo

-di Valerio Bianchini-

Si dice che gli americani non facciano nulla se non vedono il biglietto verde come sfondo alle loro iniziative. Ciò è particolarmente vero quando si parla di sport. Da bravi calvinisti la passione per gli sport tradizionali è sempre accompagnata da una pari passione per il profitto. Sarà per questo che i grandi sport professionisti sono anche un business monumentale, sorretti da una invidiabile capacità di marketing. L’invenzione dei playoff rispetta perfettamente questa esigenza. Essi nascono da una semplice idea: durante il campionato gli scontri tra le più forti attirano più pubblico, più televisione, più pubblicità. Allora perché limitarsi solo a quegli incontri speciali che il Campionato mette a disposizione solo in rare occasioni? Perché non studiare un sistema che moltiplichi questi scontri? Ecco, basta che alla fine della stagione si dica che il titolo si vince dopo una fase ulteriore e il gioco è fatto. Si prendono le prime otto arrivate in classifica e si incrociano la prima con l’ultima e così di seguito in una serie di 5 o 7 incontri per tappa  e si costruisce un finale entusiasmante dove le squadre più forti si scontrano ad eliminazione in un pathos sempre crescente. Si arriva così fino alle leggendarie finali vinte o perse per un punto, con una platea planetaria avvinta dalla bellezza della competizione di squadre leggendarie che lottano per il titolo e con la consolazione per gli eliminati dei molti milioni di dollari piovuti sull’evento.
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